Magna Graecia: l’ultima resistenza alla post-modernità.

In questo momento di passaggio epocale in cui concetti come sviluppo, progresso e la “normalità” della vita moderna si stanno dimostrando inconsistenti di fronte alla minaccia di un virus probabilmente prodotto della stessa epoca di guerre ibride e corsa al dominio globale da parte di una super-borghesia – virus che infatti tra le caratteristiche fondamentali e dominanti non ha tanto la letalità di malattie del passato o esistenti ancora oggi in località remote del pianeta, quanto quella di destabilizzare principalmente e fortemente il sistema amministrativo, economico, sociale a causa del suo alto livello di virulenza ed i suoi effetti sui soggetti colpiti che per sopravvivere hanno bisogno di interventi invasivi non disponibili per tutti nel momento in cui essi siano in numero eccessivo – si avverte un’atavica paura per l’instabilità che questa condizione potrebbe generare, nonché la stessa paura della morte imminente che riemerge dal profondo degli abissi della storia rievocando scenari medievali, paure alle quali individui e popoli reagiscono in maniera differente a seconda dell’impatto che subiscono con essa – in luoghi ormai abituati a convivere con questa paura come la Siria, lo Yemen o il Donbass ci si preoccupa di più per un bombardamento che oltre a causare vittime potrebbe spostare la linea del fronte, sancire un ripiegamento, rendere vano un avanzamento. In altri Paesi come gli U.S.A., l’individualismo fondante della società ha scatenato una corsa alle armi come se ci si dovesse difendere l’uno dall’altro e non da un pericolo comune.

Guardando al nostro Paese, l’Italia, fino a pochi giorni fa epicentro mondiale della pandemia e in cui il virus ha già causato il collasso dell’economia e ad oggi quasi 20.000 morti con un ritmo medio di circa 800 al giorno, è curioso constatare che le regioni che meglio stanno resistendo all’impatto sono le più povere economicamente, provate socialmente, dove la globalizzazione ha compromesso persino l’unica risorsa disponibile che risiedeva nell’agricoltura e i tagli alla sanità voluti dal modello liberista hanno ridotto il sistema sanitario al peggiore in Europa. Calabria, Sicilia, Puglia, Basilicata, Campania tra le regioni ultime in Europa finché tutto andava bene, ma al tempo stesso quelle che non hanno mai perso il rapporto con l’antico, la tradizione, il sacro Fuoco dei Padri che in questo momento permette loro di sopravvivere come se niente fosse in un contesto in cui, se il virus attecchisse, sarebbe un’ecatombe che potrebbe spazzare via un’intera civiltà facendo morire le persone per strada come oggi succede nella ricca New York o in altre metropoli del mondo occidentale.

Regioni queste, in cui la cultura comunitarista del démos non è mai stata soppiantata dall’individualismo post-moderno, che pure qui si è affacciato arrogantemente negli ultimi decenni, ma ha trovato davanti a sé il muro di scudi della sacra tradizione e la continuità con un passato semplice e glorioso che agli occhi pregiudiziosi del soggetto cosmopolita di indole borghese appariva come ritardo, obsolescenza, inadatto ai tempi, da superare, da denigrare. Questa è la Magna Graecia, più di 5.000 anni di continuità concettuale interiorizzata istintivamente e naturalmente nel più profondo dell’animo di chi qui ci è nato e cresciuto. Galenica, Agoghé, Paideia, dialettica aristotelica, platonismo politico, finanche l’ingegnosa e antica arte culinaria che ha concepito conserve, insaccati, paste di grasso suino misto a peperoncino che permisero ai nostri avi di resistere al freddo, alla peste e agli assedi dei Saraceni sono quotidianità da millenni per questa gente dai volti scolpiti da una genetica arcaica tanto meticcia quanto immutevole.

Genti che in questo momento di crisi globale hanno trasformato i loro ameni paesini in fortezze inespugnabili in cui l’uno protegge le spalle dell’altro sfidando il fato avverso con coraggio pagano e fatalismo cristiano amalgamati indissolubilmente insieme da epoche ed epoche di continuità culturale e spirituale dai tempi delle Città-Stato di Nea-Polis, Kroton, Rhegion, Thurii, Taras, Siracusa, Agrakas attraverso l’Impero Romano, l’Impero Bizantino, il Sacro Romano Impero del “Puer Apuliae – Stupor Mundi” che di questa stessa terra ne aveva fatto appunto lo stupore del mondo, fino ai giorni nostri dominati dai “Mercanti del Tempio” la cui religione del denaro non è riuscita comunque a corrompere l’animo di chi in questi tempi bui sta dimostrando che ciò che realmente conta è il sangue che scorre nelle proprie vene, la dignità umana e di popolo.

Tempi in cui, mentre altrove i contagiati di Covid-19 vengono discriminati, isolati, addirittura cacciati dalle loro case, come succede in alcune metropoli dell’America, qui vengono protetti dalla stessa comunità nell’anonimato e nello spirito tipico della “piccola tribù” fino a ieri deriso e motivo di vergogna, oggi ragione di forza, persistenza, resilienza. Tempi in cui, mentre popoli civili del Nord Europa fanno la corsa ad accaparrarsi gli ultimi rotoli di carta igienica, come se fosse l’antidoto vitale al virus, scatenando barbare risse all’entrata dei supermercati, qui la comunità si auto-organizza autonomamente e automaticamente, nello spirito della caritas cristiana, per la distribuzione di beni di prima necessità ai sempre più numerosi che non hanno più la possibilità di mangiare a causa del collasso economico che oltretutto dovrebbe avere innalzato lo stato d’allerta per il pericolo di rivolte dove non si ha più alcuna paura del virus ma l’unica preoccupazione è quella per il domani, quando tutto questo passerà, il nostro paese dovesse restare nell’UE e lo spirito comunitarista, rinato nel piccolo borgo, dovrà cedere nuovamente alla grande finanza che ristrutturerà il sistema a suo piacimento e vantaggio. Tempi in cui la gente del Mezzogiorno trova persino il tempo e l’animo di intonare l’inno nazionale sul balcone, d’altronde noi che “siam da secoli calpesti e derisi” siamo i nipoti di chi partiva dalla Lucania, dalla Sicania, dal Bruzio, dal Salento, dall’Irpinia per andare a combattere sul Piave cantando inni di rivolta che sbeffeggiavano la morte nel nome dell’Unità di quelle genti che da sempre, dalle Alpi allo Ionio nelle loro diversità e peculiarità, hanno costituito un’unica e indissolubile entità spirituale. Ed è un fatto ironico che gli stessi che ci calpestano e deridono ancora oggi stiano smaltendo cadaveri in sacchi neri di spazzatura nel migliore dei casi se non bruciando i loro morti per strada pur di non fermare la macchina del Capitale il quale approfitta di una pandemia che riproduce gli effetti di una guerra mondiale per rigenerarsi come anche dimostrava Lenin precisamente un secolo fa – e neanche questo è un caso – parlando degli effetti del capitalismo in putrescenza nella sua opera “Imperialismo: fase suprema del capitalismo”.

Altri, i cui presidenti andavano a teatro voltando le spalle all’Italia che chiedeva aiuto, ci arriveranno probabilmente a breve, mentre ci ha riempito il cuore vedere i nostri fratelli di sventura imitarci ed intonare i loro inni tra i palazzoni di Teheran o inviare i loro medici dalla Cina a correrci in soccorso, seppur questi ultimi, a detta di alcuni, per riempire uno spazio geopolitico lasciato vuoto dagli sciacalli che fino a ieri hanno banchettato sulle spoglie della nostra Italia. Al contrario, a me sembra piuttosto, a tal proposito, esserci un filo rosso, un legame indissolubile che si perde nell’alba dei tempi che lega nella sorte, nel sangue, nella nobiltà del martirio gli antichi popoli della Via della Seta: Il centro del Mar Nostrum – Roma Caput Mundi – con la Partia e La Terra di Mezzo. E a mio avviso, sicuramente, questa è anche una chiave di lettura per gli eventi che stiamo vivendo al giorno d’oggi, eventi che assolutamente non possono essere ridotti alle mere formule delle relazioni internazionali concepite da un mondo anglosassone di corta memoria, utilitaristico e carente di quella lungimiranza che permette di cogliere la natura spirituale delle civiltà e dei popoli intesi come entità eterne.

Ritornando al tema e per concludere, questo sembra essere per tutti il momento in cui “l’uomo integrale” debba tenersi pronto a cogliere tutte le opportunità che gli si offrono sfruttando le contraddizioni per essere quanto più possibile sabbia nel motore della globalizzazione e della post-modernità in quella che sarà la grande ricostruzione post-capitalistica – perché di questo si tratterà, di un superamento del capitalismo da parte di un’élite che traghetterà il mondo in una dittatura finanziaria totale – o un eventuale futuro prossimo in cui oltre allo spirito degli avi bisognerà recuperare anche le loro conoscenze di sopravvivenza quotidiana in ambienti e situazioni ostili, in tal caso ci saranno individui più preparati di altri, civiltà più preparate di altre. Solo chi non avrà perso il contatto con la tradizione, il legame con la terra, il “Culto dei Lari” che nella cultura del nostro Paese trova continuità nella tradizione cattolica della famiglia tradizionale e indissolubile, chiave di volta della comunità, riuscirà a resistere a ciò che verrà. Se il Mezzogiorno d’Italia – la Nostra Magna Graecia – riuscirà a preservare le proprie mura dall’ondata pandemica che le minaccia e che sta piegando il Paese potrebbe essere proprio questa terra martoriata il nucleo dal quale ripartire, quando il fuoco avrà bruciato tutto, solo i pilastri resteranno in piedi ed è da lì che bisognerà ricostruire le sorti di una Nazione che sia libera e sovrana.

Questa non è “l’ora più buia”, come farnetica chi di questo strazio ne è complice. Questo momento è soltanto il luogo mistico in cui ricostruire la resistenza della quale ci sarà bisogno quando la responsabilità morale passerà nelle mani del singolo, o meglio del singolo che non si è ancora piegato. Questo è il bosco sacro del sacrificio rituale prima della battaglia finale, il Getsemani prima del Golgota. Questo è il momento in cui il “soggetto radicale” raccoglie le proprie forze e resta in attesa per quando sarà tempo di assolvere al proprio compito e alla propria vocazione per far germogliare la nuova foresta, è il momento di trasformare il gregge in branco poiché quando l’Idra oligarchica darà l’assalto finale non ci sarà spazio per mezze misure e mezzi uomini: quando i primi cercheranno di imporre il loro dominio totale, solo quelli che oggi sono gli ultimi potranno evitarlo se riusciranno a conservare la loro intransigenza, purezza, integrità, nobiltà d’animo, in quanto è proprio sul piano dello spirito che si combatte questa guerra.

Stiamo avendo modo, infatti, di meditare sulla caducità della vita stessa in un mondo basato sul materiale, l’effimero, il superfluo tipico di una post-modernità alienante e omologante della quale oggi stiamo vedendo il vero volto inumano e brutale per il quale il denaro conta più della dignità umana e si badi, parlo della dignità non della vita in sé, poiché essa – la dignità – vale ancora di più della stessa vita umana: morire dignitosamente conta molto di più del vivere in sé. Così come esistono ideali, valori, doveri, legami tanto intimi quanto indissolubili che trascendono la vita stessa: questo è l’A.D. 2020 – la Mezzanotte del Mondo – la Paeninsula Italica è il luogo più flagellato del pianeta dalla pandemia, eppure, nessuno di noi vorrebbe trovarsi altrove.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Alessandro Napoli

Tempio di Ercole – Valle dei Templi, Agrigento.